di Andrea Camilleri
«Poi c’era il rito degli arancini. Gli arancini di Montalbano, certo. Mia nonna diceva che prepararli era lungariusu, ci voleva tanto tempo… e ogni volta mia nonna passava un esame. “Comu vinniru stavota?” domandava. “Un tanticchia asciutti. L’autra vota erano megliu” rispondeva mio nonno. Un giorno li fece in un modo davvero sublime, e io stavo per dirglielo. Mio zio Massimo mi diede un cavuciu sotto la tavola. “Boniceddu” mi sussurrò. “Ma perché?”, gli domandai. “Perché lei deve sempre superare se stessa: se tu le dai soddisfazione, è finita”» – Andrea Camilleri
Camilleri da autentico racconta-storie si diverte a creare situazioni in cui il senso di umanità del commissario ha la meglio sull’osservanza della legge, ma se chiude un occhio lo fa per senso di giustizia. Anche negli Arancini sono assenti efferati fatti di sangue e per ribadire il concetto in un racconto Montalbano addirittura si rifiuta di proseguire l’indagine – «non mi piace questo racconto», dice al telefono allo scrittore, «non voglio entrarci, non è cosa mia». Nessuna delle storie, lo ha confessato il maestro di Vigàta, è stata scritta se non dietro una precisa suggestione, quasi una necessità. Infatti, ammette, quasi tutte rispondono a problemi narrativi che si era posto, a domande sue, a «scommesse che avevo fatto con me stesso». Numerose le suggestioni letterarie, da Pessoa a Manzoni a Pirandello e al teatro in genere.